sabato 23 novembre 2013

OKINAWA WORLD, DOVE ANCHE I SERPENTI TROMBANO


Ieri sono andato in gita scolastica e abbiamo fatto tappa all’Okinawa World (http://www.gyokusendo.co.jp/okinawaworld/en/), una specie di ‘Okinawa in miniatura’ dalle parti di Itoman e Nanjo. Sono sopravvissuto due anni e mezzo a Okinawa senza mettervi piedi (così come nelle basi americane) perché sono prevenuto nei confronti di certe forme di sollazzo. Fino a ieri, infatti, pensavo che l’Okinawa World fosse una puttanata per turisti. Da ieri ho una certezza in più: l’Okinawa World È una puttanata per turisti.




Del luogo direi che salvo solo gli shisa spettacolari messi qua e là – in primis i due fatti con siepi e vasetti da fiori all’ingresso – e la coppia di fantastici pappagalli rossi purtroppo prigionieri in una gabbia. Tutto il resto lo lascio volentieri a turisti cinesi, coreani e scolaresche in gita. Siamo andati lì per assistere alla milionesima esibizione di Eisa della mia esistenza (i tamburi taiko, bellissimi, stanno lentamente iniziando a uscirmi dagli occhi e dalle orecchie). 



Esibizione impeccabile, per carité. I musicisti-ballerini erano talmente bravi e sinergici e allenati che sono riusciti perfino a coinvolgere un paio di gruppi di nonni rimbambiti, tenuti sulla Terra grazie a buone dosi di psicofarmaci. Anche se su sedie a rotelle e sguardo verso Marte, alcuni di loro battevano il ritmo con le mani. Il gruppo che si è esibito, però, è coadiuvato da un mini-esercito di fanciulle che girano con cartelli in quattro lingue in cui ti dicono che NO, PROPRIO NO, NON PUOI FOTOGRAFARE NÉ RIPRENDERE L’ESIBIZIONE.

 

Eccheccazzo, chi sono, la Filarmonica di Vienna per il concerto di capodanno? L’Okinawa World è un circo fatto a uso e consumo dei turisti, se ai turisti togli la macchina fotografica e la videocamera, che cosa resta loro? Solo un paio di braghini corti e l’espressione di chi si è perso sul volto? Non lo so, tutta quella marea di cartelli, ribadita da veneri ambulanti con i medesimi fra le mani, mi è sembrata davvero eccessiva, quasi nazi. Ingiustificata.



Di fianco all’Eisa for your eyes only c’è il pitone birmano a tassametro. Vuoi provare la sensazione di annodarti una cravatta di ciccia pulsante, viva e strisciante, bianco-gialla di un paio di metri? Paga mille yen e sorridi mentre le sfruttatrici della povera bestia ti fanno click con la loro macchina fotografica. Proibitissimo, però, fare click tu, con le tue manine. In Giappone i sindacati hanno il potere di un calzino bucato, per cui figuratevi quali diritti spettano a un povero pitone strappato alle giungle del Myanmar e condannato a fare il modello per turisti gonzi finché morte non lo separi.

 


Le scolaresche, come la mia, impazziscono per toccare la povera bestia, che non ha piedi né ali per scappare. Quella per le serpi, in effetti, è una fissa dell’Okinawa World. Non lontano dal povero pitone c’è pure l’Habu Museum, dove puoi vedere un bel po’ di viperoidi indigeni (che spesso finiscono nell’awamori locale, http://unitalianoaokinawa.blogspot.jp/2013/04/awamori-lo-spirito-di-okinawa.html). Cartelli disseminati qua e là affermano che ‘Habu Love Girl’s’.

 

Non mi è chiaro se il messaggio onirico di questi cartelli mi suggerisce immagini hardcore zoofile grazie all’inglese maccheronico o se grazie al mio cervello andato a male. Certo è che, visti i cartelli, qualunque cervello con più di sette anni è in grado di trarre le dovute conclusioni. A Naha leggende metropolitane narrano delle lotte quotidiane fra l’habu e la mangusta in questo spassosissimo parco divertimenti, ma io ieri mi sono perso il piacere di questo spettacolo. Se fosse per me condannerei tutti i toreri dell’universo a farsi ingroppare dal toro, prima di essere incornati. Potete immaginarvi che cosa sogno per gli sfruttatori di serpi.



Okinawa World, appena posso NON ci ritorno.


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